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La
salute è la ricchezza più grande dell'essere umano: quando
viene meno, il sintomo è vissuto come una sfortuna incombente,
che talvolta neanche la farmacologia e la chirurgia riesce a risolvere,
tanto che ci sentiamo impotenti. Si prova il medesimo sgomento anche in
occasione di un incidente, di una delusione sentimentale, o, a causa delle
nostre difficoltà a realizzarci nel lavoro. L'educazione che abbiamo ricevuto ci porta ad inseguire un'immagine ideale, per cui è indispensabile essere buoni, onesti, morali, in una parola, perfetti. Un tale tipo di messaggio ci induce a non tollerare le imperfezioni ed i difetti altrui al pari dei nostri. Dobbiamo invece imparare a rispettare i nostri limiti e divenire capaci di fare altrettanto di fronte alla nostra dualità interiore. Così come accade nell'universo in cui agiscono forze e fenomeni contrapposti, anche noi esseri umani siamo allo stesso tempo luce del giorno e buio della notte, mare calmo e mare in burrasca, bene e male. Jung definì Ombra la nostra parte limitata e primitiva, ossia quel lato di ognuno di noi in cui albergano le informazioni archetipiche delle esperienze instintuali negative già vissute dai nostri avi, fatte di possessività, di potere indiscriminato e di invidia. Stessa origine hanno l'istinto di uccidere, di rubare, di prevaricare, di violentare fisicamente e psicologicamente i più deboli, le donne e i bambini; così come anche l'informazione atavica dell'incesto, della pedofilia e tutte quelle pulsioni che, nell'immaginario simbolico delle varie religioni, si sintetizzano nella figura del diavolo. Sono in sintesi quelle pulsioni inconsce che hanno sempre spinto gli esseri umani a promuovere conflitti cruenti tra popoli, famiglie e singole persone. Ognuno di noi eredita dai propri antenati, oltre ai tratti somatici, al colore degli occhi, all'altezza e ai lineamenti, anche le informazioni sulla vita trascorsa, quali, ad esempio, quelle relative alle loro colpe, alle miserie, ai dolori, alle frustrazioni ed agli insuccessi. Un patrimonio di informazioni così drammatico permette la comprensione dei motivi per cui in tutte le religioni è presente la comune matrice del peccato originale e della colpa da espiare. Si nasce già colpevoli e pronti a pagare il prezzo, o anche a difenderci tramite la rimozione, l'idealizzazione la negazione dell'Ombra e la relativa "espiazione". Negare l'Ombra è come voler ad ogni costo negare la notte e sostituirla con luce perenne, o come voler rimpiazzare gli animali feroci con quelli domestici, gli escrementi delle funzioni digestive con fiori profumati! Ho avuto modo di rilevare, mediante l'esperienza del mio lavoro e nella vita quotidiana, che la maggioranza delle persone non è minimamente a contatto con i propri sensi di colpa irrazionali e con tutte le proprie emozioni. L'assenza di comunicazione con questi vissuti ancestrali, filogenetici ed ontogenetici, impedisce di stabilire una dialettica costruttiva, protesa ad una mediazione creativa che autoassolve e risolve trovando la strada della riparazione. L'Ombra, anche se rimossa, negata ed offesa, al pari di una digestione bloccata, si manifesta continuamente attraverso sintomi più o meno virulenti, a seconda dello spessore del diniego messo in atto. Mi riferisco qui alle malattie in genere, agli incidenti occasionali, alle disavventure sentimentali e relazionali, alle difficoltà lavorative e alle insoddisfazioni esistenziali. In sintesi, le nostre espressioni di insoddisfazione o di infelicità non sono altro che il linguaggio dell'Ombra, la quale chiede di essere riconosciuta e rispettata, in rapporto dialettico con la nostra totalità. Il sintomo stimola una trasformazione creativa,che può condurre verso una profonda unità armonica tra il giorno e la notte, tra bene e male ci induce ad ascoltare le nostre invidie, paure e viltà. Facciamo emergere le colpe irrazionali o razionali; lasciamo fuoriuscire i nostri desideri di prevaricazione e di vendetta, i nostri istinti incestuosi ed omicidi, il nostro lato delinquenziale profondo, per osservarli palesemente ed umilmente ma senza agirli. Soltanto così gli archetipi hanno la possibilità di tramutarsi in strutture creative e purificanti, secondo un'azione fisiologica del tipo di quella digestiva. Questo dovrebbe essere il cammino interiore per divenire infinitamente e realmente morali, buoni, a contatto con la spiritualità, con il vero amore ed altruismo. Esprimendo, con appositi esercizi bioenergetici, la rabbia - il diavolo profondo, il dolore - possiamo divenire persone vere, sane e felici, in grado di recuperare il bambino curioso ed affettuoso, creativo e gioioso che è in ognuno di noi. Accettando le nostre colpe razionali o irrazionali, possiamo ritrovare l'unità tra il male ed il bene, tra l'infanzia, l'adolescenza l'autorità genitoriale che alberga in ognuno, divenire così veri adulti in un'orchestra interiore, dal suono armonico. Il sintomo è una provocazione, un "S.O.S." del corpo per indurre una persona ad ascoltare l'Ombra, la creatività rimossa, l'amore represso. Talvolta, l'incapacità di ascoltarci, perché difesi dai falsi ideali dell'io, attrae persone umilianti ed offensive che provocano inconsciamente azioni che consideriamo oltremodo biasimevoli. L'incontro è sollecitato e incalzato da quella parte negativa che vuole essere riconosciuta solo attraverso l'altro che umilia ed offende. Solo così riusciamo a relazionare inconsciamente la nostra Ombra, la quale è esattamente come l'interlocutore persecutorio. La nostra Ombra è spesso proiettata sul prossimo; criticando negli altri ciò che è in noi, ciò che non vogliamo vedere e ascoltare per timore di perdere l'autostima, troviamo una illusoria catarsi senza però entrare in contatto con la realtà interiore. Noi siamo tutti e tutto: proprio quando critichiamo o siamo messi in discussione, dobbiamo fermarci per sentire la voce della nostra Ombra. In realtà siamo noi la persona cattiva che ci umilia in modo irragionevole; siamo sempre noi colui che critichiamo e colui che ci induce verso atti ignominiosi: gli altri sono sempre un giusto stimolo per aiutarci a riconoscere noi stessi. Guardandoci in fondo, possiamo divenire davvero sereni: solo chi sa quanto è profondamente cattivo può essere profondamente buono. Soltanto il buio può mettere in evidenza la luce; i contrasti sono ciò che rende plastico e reale un quadro. Senza i lati oscuri non potremmo avere la forma, non potremmo apprezzare il chiarore. Il processo di integrazione non è facile: ho spesso occasione di verificarlo anche in persone che da anni fanno analisi bioenergetica. Durante gli esercizi con il corpo, scalciano, piangono, urlano rabbia e dolore, vivono regressivamente il bambino che ancora soffre in loro, ma, nonostante tutto, si riscontra un'enorme difficoltà a far parlare la propria Ombra. Gli urli e il dolore sono soltanto collegati alle vicissitudini personali e familiari, vengono proiettati sui cattivi persecutori esterni, sulle sfortune incombenti. Pochissimi individui sono in grado di percepire la voce delle proprie colpe reali o irrazionali e delle proprie pochezze, poiché ogni emozione è proiettata, ogni voce dell'Ombra è negata e rimossa. Ognuno si ritiene innocente e, non essendo capace di ascoltare le colpe, non riesce neppure ad assolversi, accettarsi ed amarsi come realmente è. Le persone spaventate mi dicono: "Ma allora se mi ammalo, sono colpevole? Se lo sono, lo sono doppiamente: colpevole perché mi ammalo, colpevole perché già ero in colpa". La colpa è vissuta come il male peggiore, come la vergogna delle vergogne. In essa si può leggere chiaramente la condanna biblica: "Tu donna partorirai con dolore, tu uomo lavorerai con fatica". Non c'è perdono né comprensione. Dimentichiamo però che in ogni religione c'è anche il momento dell'espiazione, della grazia e della resurrezione. Se riuscissimo a contemplare questo aspetto, probabilmente avremmo più facilità ad esprimere le nostre potenziali colpe irrazionali e a trovare una spiegazione che assolva noi stessi e rispetti gli altri. Tuttavia, anche se porto esempi esplicativi sul come far parlare le colpe irragionevoli del proprio sintomo, e prospetto la possibilità di liberarsi, la difficoltà ad esprimere le profonde emozioni rimane invariata. Di solito si preferisce enfatizzare la colpa al punto di affermare: "Sono colpevole, devo espiare". Sembra paradossale ma è più facile restare nella distruttività che passare alla creatività espansiva e riparativa. A questo proposito mi sembra importante riesaminare la storia di P. ed il suo sogno (1): "dopo aver raccolto il grano che avevo precedentemente seminato ed averlo legato in covoni, un uomo dal volto mascherato di nero, con la falce inizia a distruggere tutto il mio lavoro. Cerco di fermarlo, lotto fino all'impossibile ma lui è più forte. Piango, mi dispero, ma non c'è niente da fare: io sono il perdente, tutto il grano ormai è buttato al vento". Come già evidenziato nell'articolo citato, P. a soli diciannove anni era rimasto orfano di madre poiché la poveretta era morta a quarantacinque anni di cancro, malattia strutturata in seguito alla situazione fallimentare del marito. P. aveva dovuto iniziare a lavorare a diciassette anni per mantenere i quattro fratelli minori, costretto ad abbandonare gli studi, la vita spensierata ed il benessere economico a cui era abituato. A soli ventiquattro anni perdette anche il padre, anch'esso morto di cancro, quasi come se si fosse identificato in sua moglie, peraltro figlia della sua balia e quindi sorella di latte. P. si era sposato a soli ventitré anni e subito dopo aveva avuto due bambini; il sogno citato lo fece a quarantatré anni, quando i suoi figli avevano rispettivamente diciotto e diciassette anni. In quel momento l'età di P. coincideva con l'età in cui la madre si era gravemente ammalata, l'età dei figli coincideva con gli anni in cui erano iniziate tutte le sue gravi vicissitudini. Posso evincere, da questa storia, che egli poteva esprimere la creatività espansiva nel suo lavoro e negli affetti familiari fintantoché la situazione gli permetteva di ripercorrere, felicemente, le tappe della sua infanzia e preadolescenza spensierata, purtroppo repentinamente e bruscamente interrotta. La coincidenza temporale con l'età dei suoi ragazzi e la propria, rispetto a sua madre, rievocò nell'inconscio la tragedia della famiglia di origine. L'identificazione con i genitori distruttivi, e introiettati in sè scatenò l'istinto devastante. Anziché fallire, inconsciamente P. progettò la dissolvenza del suo "seminato e raccolto", che simbolicamente rappresentava la casa, la famiglia, il denaro, la salute. Come già descritto (2), quattro mesi dopo aver fatto il sogno anzidetto, all'insaputa di tutti, vendette l'abitazione coniugale; nel mese successivo, una volta scoperto, abbandonò per sempre la moglie ed i figli di cui era andato sempre molto fiero. Rinnegò tutti impietosamente, in seguito strutturò una malattia ai reni, tanto da dover ricorrere alla chirurgia. P., pur essendo in psicoterapia e avendo la possibilità di discutere i contenuti simbolici del sogno, assai significativo per sè e la sua famiglia, preferì tacere, anzi dopo poche sedute interruppe il lavoro terapeutico. Scelse, inconsciamente, di lasciarsi andare alla spontanea distruttività, evitando un'intelligente elaborazione protesa a proteggere il suo "raccolto" ossia i valori affettivi, economici e la sua stessa salute. Bloccò in tal modo anche le sue ulteriori possibilità espansive. La scelta di ripetere acriticamente la storia della famiglia di provenienza gli sembrò la strada più semplice. In quel momento si illuse di poter evitare ogni sforzo, anzi di poter abbracciare il piacere senza doversi sacrificare. Inoltre nel distruggere il "raccolto", senza rendersene conto, espiava la colpa irrazionale e rimossa, di essere riuscito a trovare la felicità sentimentale e personale, nonostante le vicissitudini familiari. Egli poté sostenere la sua vita progressiva solo quando l'età dei suoi figli permetteva la catarsi della sua infanzia serena. Proiettandosi in loro ed identificandosi nei genitori positivi, era in grado di utilizzare creativamente i suoi connaturali potenziali. Non appena i ragazzi ebbero gli anni coincidenti con l'età delle sue vicissitudini, egli si sentì costretto a rievocare la sua infelice adolescenza. Nel proseguire l'identificazione con i suoi genitori e la proiezione di se stesso sui figli, non poteva che replicare l'esperienza traumatica. Realizzò così una coazione a ripetere, non per attuare la soluzione creativa, bensì per trovare una catarsi distruttiva. In essa poté proiettare la rabbia e l'invidia che provò verso i fratelli minori quando, prematuramente, dovette lavorare per assumersi la responsabilità della loro crescita. Nell'inconscio di P. i figli non erano sentiti come tali, ma venivano vissuti come i fratelli da proteggere e mantenere. Nel contempo erano anche i suoi coetanei più fortunati che a suo tempo avevano potuto proseguire gli studi sotto la protezione dei genitori. L'antico progetto adolescenziale di demolire gli oggetti della propria invidia era inconsciamente più importante dei valori sacri della famiglia, fino a divenire accecante. Chi annienta gli altri perde di vista oltremodo se stesso, tanto è affascinato nel realizzare la sua vendetta. L'oggetto da distruggere è talmente pregno di significati che non ci si accorge che la vendetta diviene un boomerang. Non a caso, nell'ultima seduta di psicoterapia, P. sognò quanto segue: "Era scesa dalla luna, una donna dagli occhi di fuoco, con una stella luminosa sulla fronte, desiderosa di vendicarsi". Di cosa doveva vendicarsi l'alter ego inconscio femminile di P.? Quasi certamente delle umiliazioni, dei dolori profondi e delle numerose frustrazioni subite quando perse la sua famiglia di origine, la sua casa ed il suo benessere economico. In egual misura voleva far ripetere il medesimo destino ai suoi figli ed a sua moglie. Il suo successo era vissuto come rivalsa e vendetta contro i genitori ed i fratelli. Solo una forte propensione alla riparazione poteva diminuire l'angoscia distruttiva. Per sentire il desiderio di riparare bisogna venire a contatto con il proprio senso di colpa anche se irrazionale. Era molto difficile, per P., ascoltare i sensi di colpa nei confronti dei genitori, considerata la tragica situazione; in egual misura sarebbe stato estremamente facile entrare in contatto con le reali colpe verso i figli e la moglie. Purtroppo , le proiezioni del passato sono ottenebranti. Cosa impedì all'inconscio di P. di mettere in atto la naturale, creativa pulsione protettiva per i suoi figli? Perché emerse più prepotente la distruttività verso la prole? Ipotizzo che per sentire le proprie colpe e invidie, irrazionalmente proiettate, sia necessario essere molto umili. Giungere a contatto con ambedue i sentimenti è così insostenibile per il personale narcisismo, che sono in molti a preferire la malattia piuttosto che l'autocritica e la riparazione. Un gesto reintegrante esige generosità, desiderio unificante tra l'Ombra e la Luce, autocritica costruttiva, amore e stima per se stessi. Nel caso in cui P. avesse sentito il peso della colpa e della riparazione, sarebbe stato sufficiente aderire a valori comunemente condivisi che spontaneamente inducono qualsiasi individuo ad amare la propria prole come se stesso. Ma ciò implica la capacità di amare se stessi (come recita il Vangelo "Ama il prossimo tuo come te stesso"). Se avesse ascoltato il senso di colpa verso genitori e fratelli, avrebbe dovuto elaborare il paradosso della colpa e delle responsabilità. In realtà i genitori di P. erano i veri colpevoli, non avevano saputo gestire in modo oculato il loro lavoro e le loro finanze; inoltre avevano scelto la malattia distruttiva piuttosto che la responsabile autocritica. Purtroppo, però, l'inconscio è assurdo, è al di là di ogni logica comune... Quando i genitori non sono validi, i figli inconsciamente si sentono colpevoli di essere nati, si sentono indegni e reietti rispetto ai bambini più fortunati. Se, inoltre, i genitori muoiono, la rabbia che tutti noi abbiamo provato se sgridati o limitati nelle nostre azioni, viene inconsciamente ritenuta responsabile della morte dei propri cari. Per di più, il povero P., quando fu costretto a lasciare gli studi e fu mandato a lavorare per poter portare i soldi in famiglia, provò inconsciamente una forte carica aggressiva verso il mondo intero, tanto che a diciannove anni, prima che sua madre morisse, strutturò una grave malattia polmonare quale la tisi . Anche allora, piuttosto che riconoscere i suoi sensi di colpa rispetto alle giuste emozioni negative verso i genitori e l'invidia verso i suoi coetanei più fortunati, preferì scegliere la strada della malattia autodistruttiva. Attraverso la tisi poté ritrovarsi in ospedale accanto a sua madre già ricoverata ed in fin di vita, non più per dare sostegno ed assumersi le responsabilità che avrebbero dovuto essere solo dei suoi genitori, ma per ricevere quelle attenzioni che non osava chiedere, né tanto meno desiderare, per il forte senso di colpa inconscio. Come può divenire veramente adulto un ragazzo con una così triste storia? Come può dare ai figli quella protezione, quell'amore che non ha ricevuto? Come si può essere chiari con se stessi quando si è stati costretti a negare ogni emozione? I miei sentimenti profondi mi dicono che è molto difficile. L'esperienza professionale però mi dà la certezza scientifica che, in questi casi, l'unico modo per divenire veramente adulti, sani nel dare e nel ricevere, è quello di riuscire a percepire, semplicemente, le proprie colpe irrazionali, la propria rabbia, disperazione, invidia, distruttività. Una infanzia o adolescenza accompagnata da forti emozioni rimosse non riconosciute diviene la sintesi finale di una vita adulta molto difficile nei comportamenti interfamiliari e nella propria salute. Chi tradisce gli altri lo fa perché innanzi tutto tradisce se stesso. In un lavoro psicoterapeutico dove si analizzano i sogni e si lavora anche bioenergicamente sul corpo, non solo si entra a contatto mentalmente con la propria Ombra e con i vissuti profondi passati ma - scalciando, urlando, battendo - si rivive la drammaticità delle pulsioni precedentemente rimosse, si purifica l'energia corporea, dai dolorosi ricordi impressi finanche nelle proprie cellule. Man mano che l'inconscio ed il corpo si liberano del passato negativo, la persona diviene spontaneamente creativa, affettuosa e morale, recupera nelle sue radici la connaturale attività umana. Le scelte di vita sono costruttive, per sé e per gli altri, spinte dal rispetto e dall'amore che si prova nell'accettare se stessi, più che nelle virtù, nei contenuti dell'Ombra. Nell'amarsi anche per il proprio diavolo interno, oltre che per il proprio angelo, si diviene ben disposti verso la vitalità comune. Spesso le persone mi dicono che esprimono continuamente la propria rabbia, ma questo è l'equivoco di fondo. La rabbia quotidianamente espressa viene manifestata solo verbalmente, poiché la comunicazione sociale richiede giustamente certe regole di buona convivenza; inoltre spesso nell'urlare le persone chiudono il respiro nella gola o nel diaframma, producendo così un surplus di energia verso la testa ed una forte asinergia nelle gambe e nel bacino. Questa disarmonia energetica procura ansia, depressione o ira incontenibile, accompagnata da comportamenti asociali. La rabbia espressa nelle sedute di analisi bioenergetica è adeguatamente protetta dal terapeuta che suggerisce di tenere le ginocchia flesse, i piedi ben piantati in terra e paralleli alle ginocchia, gli alluci riversi leggermente verso l'interno (posizione grounding) (3). Propone di respirare profondamente e poi di battere con i pugni su di un cubo di gomma, mantenendo la colonna vertebrale eretta, le vertebre lombari lievemente flessibili, e di urlare "Basta!", oppure "No!", oppure "Ti uccido!". In sintesi indica una parola breve e significativa capace di manifestare la propria ira profonda, aumentare la respirazione facendo fuoriuscire antiche pulsioni rimosse e rinnegate davanti a se stessi. La posizione grounding e la respirazione profonda sono utili a canalizzare, in modo proficuo, l'energia e la circolazione sanguigna, omogeneamente in tutto il corpo, inoltre servono a mantenere i piedi ben radicati nella terra per non perdere mai di vista la realtà interiore e quella esterna. La tendenza comune è quella di sollevarsi sulle dita dei piedi, con le ginocchia rigide, oppure di roteare le anche esternamente. orientando i piedi lateralmente. Ambedue le posture rendono il corpo instabile, la respirazione bloccata nel diaframma, la voce chiusa nella gola, la testa sovraccarica di ossigeno di circolazione sanguigna e di energia. Questa situazione organica si manifesta in confusione, paura, tachicardia, malessere generale, perdita di autostima, ansia, depressione. Dirigendo le proprie emozioni con i piedi ben radicati nella terra e rimanendo attenti al respiro, la rabbia ed il dolore fuoriesce per liberare, obiettivemente , il corpo dalle esperienze traumatiche, lasciando un senso di grande benessere e di autostima. La rabbia può essere anche espressa scalciando sul materasso, e accompagnando, sempre, il movimento corporeo con la voce. Spesso le persone hanno una grande difficoltà a sintonizzare braccia e gambe, o addirittura non hanno la forza per battere gli arti sul materasso. Quando il corpo riesce a manifestarsi nella sua primordiale forza infantile, sia nel movimento che nella voce, le emozioni dolorose, all'epoca represse, sgorgano vivide e liberatorie. Man mano che emergono le antiche pulsioni, lo sguardo diviene più vivace, il corpo più vibrante ed armonico. La fiducia in se stessi emerge e spinge verso azioni creative e piene di amore per sé e per gli altri. Riconoscere l'Ombra attraverso l'inconscio ed il corpo significa depurare gli organi, le cellule e l'epidermide dai tristi ricordi traumatici passati. Non è una favola, o una ipotesi: numerose vicende umane mi hanno dato la concreta prova delle stesse ricerche di W. Reich e A. Lowen: le esperienze della nostra infanzia sono impresse nel nostro corpo, per cui ogni malattia che si manifesta in età adulta non è che la sintesi e l'espressione delle passate vicissitudini. Anche le nostre azioni adulte, nella vita di coppia, lavorativa o con i nostri figli ed amici, non sono altro che la fotocopia della nostra storia e della nostra famiglia di origine. Nel bene e nel male ripetiamo ciò che abbiamo vissuto già da bambini, riceviamo e doniamo quanto c'è stato dato come affetto, come percezione di sé. Se vogliamo rinnovarci creativamente rispetto agli eventi negativi individuali e della nostra famiglia di origine, dobbiamo eliminare dal corpo e dall'inconscio gli antichi travagli, i soprusi di casta sociale, privazioni, umiliazioni, stenti, violenze morali e materiali di natura personale, filogenetica ed ontogenetica. Il seme creativo, luminescente, che è in ognuno di noi vuole essere liberato concretamente per essere integrato e recuperato, per riuscire ad esprimere di fronte a situazioni frustranti una fresca nuova collera che si diversifica dalla rabbia. Molti temono di dover affrontare un sacrificio economico ed emotivo, di doversi umilmente affidare ad un altro, iniziando un'analisi bioenergetica. Si illudono presuntuosamente di potercela fare da sé, che sia meno dispendioso e più comodo lasciarsi andare agli eventi, subire casualmente malattie, incidenti, insuccessi lavorativi e sentimentali; scelgono di interpretare le vicissitudini come sfortuna incombente o di assumere un atteggiamento di impotenza. Sostengo che la vita è pur sempre un cammino difficile e faticoso: si tratta di scegliere quale tra le fatiche e sacrifici ci porti per mano verso la salute e la serenità comune, oppure ci induca ad ammalarci, a vivere male la quotidianità, in assoluta incoscienza. Svincolarsi dai più remoti traumi è come aprire un conto in banca che permetta l'utilizzo di tutti i propri potenziali, al meglio per se stessi e gli altri, in una vita sana e solare. A questo proposito possiamo riferirci nuovamente al caso di M., già descritto (4). M. iniziò la sua psicoterapia junghiana dopo aver subito interventi ad ambedue le mammelle, per asportare numerosi fibroadenomi, aveva solo ventotto anni, già sposata dall'età di diciotto anni e madre di due figli. Prima degli interventi soffriva di ricorrenti stati di depressione ansiogena, di forti cefalee, era spesso stanca e raffreddata, i suoi piedi piatti non le permettevano di camminare a lungo. Conduceva una vita molto triste e svolgeva un lavoro ministeriale che non la soddisfaceva. Quando M. fu ricoverata non sentiva né il dolore fisico né, tanto meno, quello psichico: si era così corazzata che non avvertiva più nulla. Il senso di solitudine e di abbandono che era in lei durante i ricoveri, nonché la paura del grave male, poté sentirlo e riviverlo drammaticamente solo dopo molti anni di psicoterapia, quando il suo io, ormai solido, poté sostenere l'intensità del dolore e della rabbia. All'epoca viveva come in un limbo di illusioni e di terrorizzanti incubi che si manifestavano chiaramente nei suoi sogni notturni. Il primo sogno portato in psicoterapia la divertì e la sconvolse nel contempo: "Mi trovavo ferma in un pianerottolo quadrato, davanti a me c'era una scala che scendeva, alle mie spalle una scala che saliva. Mi accorgo che dietro di me scivolava lungo la scala un grosso crocefisso di ferro, avrebbe potuto uccidermi, urlo spaventata, sopraggiunge mio marito che mi sollecita a calmarmi ed a guardare i suoi fuochi di artificio, zampillanti nello spazio quadrato, enfatizzati come ben più importanti e belli. Mi sveglio angosciata e confusa, non so se sono io a sopravvalutare la pericolosità del crocefisso, o se è mio marito a sottovalutare la situazione." Il sogno mostra come, nel momento cruciale della vita in cui si trovava M., il conflitto tra il desiderio di scendere in un lavoro introspettivo e la spinta a restare in una pericolosa idealizzazione è messo in confusione dall'amore idealizzato per il marito. Nello stato confusionale ella non sapeva dare fiducia alla percezione della realtà interna ed esterna, si lasciava confortare ed abbagliare dalle apparenze effimere ed ingannevoli come i fuochi d'artificio, peraltro anch'essi pericolosi, poiché accesi nel piccolo pianerottolo quadrato dove sostavano sia lei che suo marito. Sottovalutava inoltre i forti sacrifici, offerti dal simbolo della crocefissione, che mettevano a repentaglio la sua vita. Anche se attraverso l'analisi di coppia, nonché gli avvenimenti successivi, si manifestava la natura obiettivamente ingannevole del marito, le illusioni da lui costruite riuscivano ad avere presa su M. poiché proiettava in lui l'immagine maschile interna, costruita dall'inconscio. M. vedeva nel marito il principe azzurro e l'eroe, capace di salvarla e proteggerla da ogni difficoltà. Quando una donna si costruisce un ideale di un uomo enfatizzato, toglie a se stessa fiducia ed energia. Soltanto appropriandosi delle doti maschili, proiettate sul mondo esterno, integrandole armonicamente con la connaturale femminilità, la donna diviene creativa e propositiva, realizza tutti i suoi potenziali e riesce ad essere realmente se stessa. C.G. Jung denomina la parte maschile della donna Animus e la parte femminile dell'uomo Anima (5). Ambedue questi archetipi contengono in sé i significati simbolici più antichi ed attuali che il collettivo ha attribuito al maschio e alla femmina. Ognuno di noi nasce già con la memoria o informazione, sia dell'Ombra, come già detto, che dell'Animus e dell'Anima. Ogni archetipo è una struttura o una informazione biopsichica che interagisce nella nostra totalità personale, organica, psicologica, comportamentale. Soltanto se riconosciamo il significato più remoto degli archetipi e li amalgamiamo con la nostra parte più razionale possiamo essere persone sane e felici. Ogni archetipo non riconosciuto viene proiettato fuori di noi, come immagine idealizzata o come immagine persecutoria. In entrambi i casi crea una distonia personale che si manifesta in modi diversi ma sempre limitanti e insani. Nel caso di M., l'idealizzazione dell'Animus proiettata sul marito, non solo limitava le sue doti creative, ma le metteva in uno stato di confusione e di sfiducia tanto da colpire in modo distruttivo i suoi seni, organi prettamente femminili. Esternava concretamente la confusione di sé come donna seducente e creativa da una parte, e come madre affettuosa e nutritiva dall'altra, nella sua grave malattia. Il seno della donna, demandato psicologicamente alla funzione dell'allattamento per il mantenimento della specie, è, nel contempo, un elemento di seduzione e di piacere sessuale. In uno stato di pieno riconoscimento di se stessa e di fiducia in tutte le sue funzioni sfaccettate, quale donna amante, moglie, musa ispiratrice e sostenitrice, madre protettiva ed affettuosa, persona operativa nel mondo sociale, le parti corporee, tipicamente femminili, sono inconsciamente amate, rispettate, differenziate, di volta in volta in una totalità sana e funzionale. In uno stato di confusione tra il sé ed il mondo esterno, l'indifferenziazione corporea è consequenziale. I sensi di colpa irrazionali si mescolano tra loro e si manifestano con malattie o incapacità di autorealizzazione, accompagnate da scontentezza generalizzata. Dal sogno di M. possiamo evincere che la negazione della realtà pericolosa, l'idealizzazione e la fiducia proiettata sul marito, la inducono a tradire se stessa. Già pittrice affermata sin dall'adolescenza, rinunciava alla sua creatività ed al suo successo personale per consegnarsi totalmente a tutte le richieste maritali: un lavoro ministeriale poco impegnativo, che si accompagnava al lavoro casalingo e alla educazione dei figli . Lei così selvaggia e singolare nel suo modo di manifestarsi nella vita, nelle sue capacità di trasformare il dolore in arte pittorica, amicizia, contatto con la natura ed il ritmo della musica, era ora relegata "come una deportata" (sue parole) tra le mura della casa e quelle dell'ufficio. Stessi orari, stesse persone, stesso monotono lavoro, rinunce continue a tutte le sue manifestazioni vitali. Pagava quotidianamente il tradimento al suo "Sé" in funzione dell'amore idealizzato con cefalee, depressioni, incidenti; infine, i fibroadenomi al seno. Era un reale tradimento del corpo! Si era autocrocefissa per lasciarsi abbagliare dalle illusioni e da un errato senso dell'amore. Con la psicoterapia M. entrò ogni giorno più a contatto con le profonde vere emozioni, con gli archetipi più remoti, fino a riuscire a ritrovare la connaturale creatività. Il lavoro onirico, accompagnato dal lavoro sul corpo, l'aiutò a ritrovare la salute, la vivacità e la gioia di vivere speranzosa della sua prima infanzia. Scalciò sul materasso, urlò tutta la rabbia ed il dolore, aprì il cuore sul cavalletto bioenergetico, sentendo il terrore del primo contatto con la bioelettricità corporea, fino ad allora trattenuta in una forte corazza psicologica. Anche i suoi piedi piatti divennero normali, capaci di farla camminare e correre. Poté provare, in seguito, la gioia di sentire il suo corpo vibrare per la vitale corrente dell'energia. Non più terrore, ma esuberanza, fiducia di andare verso il mondo esprimendo l'essenza di donna che armonicamente può essere madre, amante, professionista. Il lavoro terapeutico è stato lungo, doloroso e molto attento, ma il tutto lentamente ha portato i suoi frutti e fiori colorati, ha condotto verso la vita salubre. Spesso le persone, quando arrivano in psicoterapia molto depresse o con malattie somatiche, vorrebbero risolvere con poche sedute e senza soffrire; dico loro che senza profonda, consapevole sofferenza, non si può arrivare a nulla. Comprendo quanto sia drammatico affrontare la rabbia, il pianto che per anni sono stati repressi; quanto sia umiliante, per una persona orgogliosa e con un forte senso morale, sorretta da un potente ideale dell'io, sentire tutta la pochezza della propria Ombra. Ma l'umiltà, il dolore di sentirsi anche cattivi e perversi come tutti, ci rende uniti con noi stessi e con gli altri. Non più giudizi, pregiudizi ed opinioni precostituite, ma comprensione ed amore per sé e l'universo. L'integrazione dell'Ombra attraverso i sogni ed il corpo ci rendono autentici. A questo proposito voglio citare il sogno di un uomo di trentotto anni che vuole con tutta la sua volontà essere marito e padre fedele, che vuole emergere nel lavoro manageriale in modo creativo: "Vedo il demone del sesso, alato, rosso, mi perseguita. Mi vuole possedere, entrare in me. Lo scaccio, fuggo, mi segue e dice Non puoi fuggirmi, sono parte di te, tenta di penetrarmi come fossi una donna. Urlo e lo respingo con tutta la mia forza, ma ne rimane la presenza". Il sogno richiede con prepotenza l'accettazione del diavolo, ossia l'Ombra. Soltanto accogliendo le fantasie perverse si può essere realmente fedeli. Non più una fedeltà imposta attraverso l'ansia, la depressione e le allergie, ma una chiara e consapevole unità con la propria Ombra. Riconoscere l'Ombra non significa veicolarla, significa riconoscere che esiste. L'autore del sogno partecipa anche alle classi di esercizi bioenergetici, di volta in volta entra in contatto con la rabbia omicida, con il dolore di ex bambino responsabilizzato innanzi tempo, con le eccitazioni e fantasie sessuali verso altre donne, con la propensione al tradimento. Riconoscendo il suo diavolo e tutto quello che è in ognuno di noi, riesce a far parte della totalità universale fatta di buio e luce, di alba e tramonto, di inferno e paradiso. Riesce a far parte del ritmo armonico della vita fatto di opposti utili ed integrati fra loro. A questo punto, c'è da chiedersi soltanto: perché molte persone si lasciano trainare dalla loro distruttività, acriticamente, evitando l'aiuto terapeutico, ed altre sentono di dover intraprendere il difficile cammino per divenire persone sane? Perché preferiscono il faticoso sentiero dell'autodistruttività, piuttosto che il doloroso percorso, psicoterapeutico, che conduce alla vitale creatività? Maria Stallone Alborghetti (1) L'insostenibile colpa della felicità, pag.7. (2) Ivi, pag. 7. (3) L'analisi bioenergetica, pagg. 4 - 9. (4) L'insostenibile colpa della felicità, pagg.18-21. (5) C. G. Jung, L'uomo ed i suoi simboli, ed. Casini, Firenze - Roma 1967 |
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